Pescolanciano
Con i suoi 29,5 chilometri quadrati di superficie, Pescolanciano è il quarto comune per estensione (dopo Vastogirardi, San Pietro Avellana e Carovilli) della Riserva.
Situato in un territorio prettamente montano, ha quote che vanno da un minimo di 645 m sul livello del mare (Vallone dell’Arco) a un massimo di 1392 m (in prossimità di Monte Totila).
In area della Riserva confina con Carovilli (a Ovest), Chiauci e Pietrabbondante (entrambi a Est); al di fuori con Agnone (a Nord-ovest), Civitanova del Sannio (a Est), Sessano del Molise e Miranda (entrambi a Sud).
I suoi abitanti, che si definiscono pescolancianesi, festeggiano il Santo Patrono (Sant’Anna) il 26 luglio.
A Pescolanciano passano i tratturi Celano-Foggia (presso il confine con Pietrabbondante) e Castel di Sangro-Lucera (nell’area compresa tra Carovilli e Chiauci).
http://www.comune.pescolanciano.is.it
Valenze storiche e culturali
(per la cartografia si veda la sottosezione “Il paesaggio culturale” nella sezione “La Riserva”)
Per poter meglio inquadrare tali aspetti nell’arco temporale della presenza umana nel territorio dei diversi comuni, abbiamo pensato di suddividerli in tre macroepoche: “Preistoria”, “Età sannitica” e “Dal Medioevo al presente”.
Nell’ambito delle attività connesse al progetto di ampliamento sono state, inoltre, ricreate alcune schede descrittive delle valenze archeologiche, storico-artistiche, demoetnoantropologiche e architettoniche presenti nel territorio dei diversi comuni, sulla base di quelle presenti negli archivi della Soprintendenza peri Beni Archeologici del Molise, realizzate per l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD). A tali schede si farà riferimento nel testo inserendo tra parentesi il numero corrispondente. La codifica che individua le schede realizzate per il comune di Pescolanciano è la lettera C seguita dalla numerazione progressiva.
Età sannitica
Una fortificazione sannitica è presente sulla sommità di un piccolo dosso collinare (Santa Maria dei Vignali) circa un chilometro ad ovest di Pescolanciano, al limite meridionale del tratturo Castel di Sangro-Lucera. Le mura ciclopiche di tale fortezza si sviluppano per quasi un centinaio di metri, a testimonianza dell’evidente importanza strategica del sito. Importanza riconosciuta anche nel medioevo, visto che sullo stesso sito è stato realizzato un sistema difensivo di cui rimangono ancora una torre e diverse murature in pietra.
La fortificazione costituisce il quarto sito di interesse di un itinerario indicato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise come “Vie del sacro", iniziato al santuario-tempio di Pietrabbondante e passato per l’area sacra in località Sant’Angelo di Vastogirardi e per l’insediamento fortificato di Monte Ferrante a Carovilli.
Le aree di interesse archeologico di Colle Pantanelle (insediamento medievale su preesistente sito sannitico), Colle Alto (area sacra) e Colle Casarine (insediamento medievale su preesistente fortificazione) sono soggette a vincolo diretto e indiretto ai sensi dell’art. 45 D.Lgs.42/2004 attraverso il Decreto Dirigenziale n. 31 del 09/12/2010 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione regionale per i beni Culturali e Paesaggistici del Molise.
Dal Medioevo al presente
L’antico borgo murato con castello-residenza (Pesclum Lanzanum) era arroccato sul grande sperone di roccia (“pesco”) sul quale oggi ancora si ritrovano i ruderi del castello.
L’impianto originario del castello ancora oggi presente è relativo alla fase dell’incastellamento Longobardo. Si sa con certezza che nella prima metà del XII secolo, Pesclum Lanzanum apparteneva al feudo di Berardo De Carvello (cioè di Carovilli), duca normanno che aveva anche Pesclam Corvaram (Pescocorvaro presso Miranda) e Cornaclinum (la Conocchia a Isernia). Di Pescolanciano era anche quel Teodino di Peschio che fu giustiziere ai tempi di Federico II e Ruggero di Pescolanciano che, secondo il Capecelatro, fu mandato dallo stesso Federico a demolire le fortificazioni di Isernia e Carpinone. Il feudo passò poi ai d’Evoli che lo tennero fino all’arrivo degli angioini, quando appartenne alla famiglia Carafa della Spina il cui stemma quattrocentesco appare sul portale secondario. Nel 1524 Fabio D’Alessandro ha preso il titolo di Duca di Pescolanciano. Ai d’Alessandro si devono le trasformazioni più significative nel fare dell’edificio la residenza fortificata necessaria al controllo del vasto territorio militare di cui erano proprietari (i loro feudi comprendevano, nel periodo di maggiore estensione e relativamente all’area della Riserva, oltre a Pescolanciano anche i territori di Carovilli, Pietrabbondante e Vastogirardi). Durante il loro possesso fu aperto un nuovo ingresso al quale si accedeva su un ponte levatoio che fu terminato nel 1691 e l’accesso al cortile esterno del castello fu munito di una guardiola. Una cappella gentilizia del 1628 conserva le reliquie di Sant’Alessandro di Bergamo, patrono della famiglia d’Alessandro. Prima che un incendio la distruggesse nel 1798, all’interno del castello vi era anche una fabbrica di ceramiche1 (fondata nel 1790 dal Duca Pasquale Maria d’Alessandro), che rese Pescolanciano importante a scala nazionale e internazionale. Il castello, parzialmente distrutto dal terremoto del 1805 e ricostruito a partire dal 1820, appartiene oggi per oltre tre quinti alla provincia di Isernia e per il resto agli eredi d’Alessandro ed è presente nell’elenco dei beni immobili sottoposti a vincolo con atto di tutela della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico del Molise (Atti di tutela del 12/10/1979 e del 07/03/1980).
Degna di nota è la chiesa parrocchiale del Salvatore, datata al XVI secolo, con un architrave del portale contenente lo stemma a scudo (scheda C002) della famiglia Carafa della Spina, in pietra grigia e databile al XVII secolo, che mostra uno sfondo ad onde o fasce, due rose nella parte inferiore e una di banda trasversale. Il portale del lato sinistro (scheda C003), del 1696, ha due pilastrini con specchiature e cornici rincassate dove si impostano due colonne con modanature al centro su due lesene e capitelli a foglie lisce e carnose rovesciate che sostengono la trabeazione modanata e il fregio con volute; nel muretto accanto alla facciata è presente un bassorilievo (scheda C001) databile al XVI secolo, raffigurante lo stemma della famiglia d’Alessandro: un leone rampante con la coda alzata e una fascia trasversale con tre stelle. All’interno della chiesa vi sono una acquasantiera a conchiglia (scheda C004) del 1699, di forma ellissoidale con all’esterno una decorazione a rigonfiamento e scanalature e all’interno due volute, e una lapide marmorea (scheda C004), in latino, che ricorda i restauri alla chiesa e al castello voluti dal duca G. D’Alessandro nel 1696. La chiesa contiene anche la statua di Sant’Anna, patrona di Pescolanciano.
Numerosissime le unità edilizie realizzate tra il XIII e il XX secolo inserite nell’ICCD architettonico (schede: C020 - casa-torre difensiva databile al XIII secolo; C007 e C009 - edifici residenziali databili al XVI secolo; C006 e C008 - edifici residenziali databili al XVII secolo; C011 e C024 - edifici residenziali databili al XVIII secolo; C022 - palazzo del 1816; C014 - edificio del 1851; C013 - edificio del 1888; C018 - casa rustica, C019 - palazzo e C026 - edificio databili al XIX secolo; C023 - palazzo comunale databile al XX secolo; C010 - edificio residenziale del 1914, C025 - edificio residenziale del 1924; C017 - edificio residenziale del 1928. Per gli edifici delle schede C015, C016, C021 e C027 la datazione non è nota). Molte di queste sono state restaurate o ristrutturate in seguito ai danni sostenuti a causa del terremoto del 1984.
I ruderi di una torre di vedetta circolare segnalano con la loro presenza i resti di un edificato medievale (XII secolo) realizzato al di sopra della cinta sannita sul colle di Santa Maria dei Vignali.
Nel maggio del 1915 (il 24, ovvero il giorno in cui l'Italia entrò in guerra) fu inaugurata una ferrovia privata a scartamento ridotto (tipologia preferibile all’epoca per le ferrovie di montagna con percorso tortuoso) e a trazione elettrica che collegava Pescolanciano con Agnone (poco meno di 38 km) passando per le fermate (in corsivo) e le stazioni (in grassetto) di Colle Meluccio, Trivento-Bagnoli, Pietrabbondante, Casa cantoniera Rocca Tamburri (la più elevata in quota: 1100 m slm), Casa cantoniera Tre Termini, Vastogirardi-Capracotta, officina termica (che aveva la funzione di fornire energia elettrica tramite generatori a vapore nei periodi estivi, quando la portata ridotta del torrente Verrino non garantiva la produzione da parte della centrale idroelettrica su di esso costruita), casa cantoniera Cassillo e Verrino. In tutto circa 2 ore di viaggio a una velocità media di 10 km/h e massima di 25 km/h.
La ferrovia rimase attiva (nonostante il fallimento della società ferroviaria e varie altre vicissitudini legate anche al periodo bellico e alla concorrenza del trasporto su gomma) fino al 1943, quando vennne distrutta dai guastatori dell’esercito tedesco alla fine della II guerra mondiale.
Per quanto riguarda le strutture esterne agli abitati veri e propri, il termine masseria, dal latino arcaico “massa”, era solito contraddistinguere la struttura organizzativa dei fondi rustici intesi come estensioni più o meno vaste di terreno impiegato per il pascolo degli armenti, come terre seminative, oliveti, vigneti, e munite solitamente di ricoveri in muratura. Il significato utilizzato nella nostra cartografia, e impiegato anche dall’Istituto Geografico Militare (IGM) sulle Tavolette 1:25.000, è, invece, l’accezione più moderna: un edificio rustico a servizio delle attività agricole, all’allevamento del bestiame, al deposito di attrezzi e spesso adibito anche ad abitazione. In seguito ai cambiamenti culturali della prima metà del 1900, in particolare la meccanizzazione delle attività agricole, molte masserie “storiche” si trovano oggi in uno stato di quasi totale abbandono (se non come veri e propri ruderi) e quelle ancora utilizzate sopravvivono soltanto laddove sono presenti forme di allevamento tradizionali o gli edifici stessi sono stati oggetto di interventi di riqualificazione.
Ulteriore testimonianza di quanto l’area della Riserva fosse legata alla vita pastorale sono i Tholoi (al singolare tholos): strutture in pietra utilizzate come ricovero per gli animali, e per l’uomo, in caso di avversità. Si presentano con una configurazione per lo più circolare nell’area della Riserva e realizzati in pietra con la tecnica a secco. La struttura è realizzata disponendo concentricamente le pietre e costruendo circonferenze sempre più ridotte, in modo tale da chiudere infine la struttura del tholos con lastre di pietra lisce e sottili.
Come trovarne uno: uscendo dal centro abitato di Pescolanciano in direzione Isernia, percorriamo la SS85; prima di intercettare lo svincolo (con la SS650) che ci porterà verso Isernia o Vasto, prendiamo la vecchia Strada Provinciale Venafrana che porta verso il piccolo centro abitato di Sessano; dopo aver percorso circa un chilometro scorgiamo sulla nostra destra una piccola strada asfaltata che conduce verso i boschi di Monte Totila; percorriamo altri 3,5 km e potremo intravedere nel bosco un vecchio tholos diroccato.
Tradizioni
Il 25 luglio di ogni anno, all’imbrunire, si tiene la sfilata dei covoni (manuocchi in dialetto di Pescolanciano) per la festa di S. Anna, che si celebra il 26, ricordando il terremoto del 26 luglio 1805 (per il quale la tradizione vuole che la Santa Patrona e protettrice delle messi ne abbia ridotto le conseguenze per il paese), anche se probabilmente la festa vera e propria venne istituita più tardi anche a seguito di altri eventi meteorici catastrofici avvenuti negli stessi giorni di luglio. La processione del 25 finisce presso la chiesa del Salvatore con la benedizione del grano. In processione, la sera del 25 luglio ai covoni segue la statua della Santa, che invece li precederà nella processione del giorno dopo.
Per approfondire:
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http://www.regione.molise.it/web/servizi/serviziobeniambientali.nsf/(Home.It)?OpenView
1 Vi si producevano in particolare maioliche, terraglie e, più raramente, porcellane.